Il Brasile è il più grande produttore di caffè del mondo. Ma entro la fine del secolo, tra il 35% e il 75% delle terre oggi coltivate a questo scopo potrebbero essere inutilizzabili. Lo dice un recente studio pubblicato in Science of the Total Environment dal team di ricerca guidato da Cássia Gabriele Dias dell’Università Federale di Itajubá, in Brasile. La causa è la trasformazione del clima e l’aumento delle temperature.
Lo studio si è concentrato su una delle due specie attualmente coltivate, Coffea arabica, per il consumo sotto forma di bevanda. Ma si tratta della pianta che costituisce quasi due terzi della produzione mondiale totale. Coffea arabica, come anche l’altra specie Coffea canephora (nota come “robusta”), è una pianta che produce al meglio quando la temperatura rimane compresa tra i 18 e i 23 °C per tutto l’anno. Ma molte delle aree del Brasile dove viene coltivata sono già oggi al limite superiore di questo intervallo, mettendo a rischio la futura produzione.
La perdita di terreni adatti al caffè è notevole, soprattutto per le zone meridionali del paese, quelle che con più probabilità usciranno dall’optimum 18-23 °C.
La situazione vietnamita permette anche di prendere in considerazione un altro fattore importante. Mentre in Brasile i produttori di caffè sono per lo più grandi aziende che praticano un’agricoltura di tipo industriale, qui molte attività sono di proprietà di piccoli produttori. La differenza tra le due situazioni è lampante, perché le grandi aziende hanno maggiori possibilità di rilocalizzare la propria produzione grazie a una maggiore disponibilità di capitali da investire. Per i piccoli produttori, questa possibilità non è data e si tratta quindi di reinventarsi completamente. Lo raccontava qualche mese fa un lancio dell'agenzia di stampa Bloomberg, che riportava le dichiarazioni di un produttore, Tran Thi Lien, proprietario di un ettaro a caffè nella provincia di Dak Lak, nel centro del paese. “Dobbiamo scavare più in profondità per trovare l’acqua”, raccontava, e “alcuni anni non ne abbiamo abbastanza per l’irrigazione”. Altre volte, invece, sono le piogge troppo abbondanti a compromettere i raccolti.
Questa situazione precaria già si vede nell’andamento dei prezzi. Sia quello di robusta che quello di arabica sono cresciuti negli ultimi anni. In particolare, in virtù di una sua maggiore resilienza, C. robusta ha sostituito una parte della produzione, anche in Vietnam. Ma questo cambio di specie ha degli effetti sulle miscele che vengono commercializzate. C. robusta, infatti, tende a dare un caffè più amaro e “terroso”, ritenuto meno pregiato di quello derivato da C. arabica.
Un problema anche di parassiti
Ma non si tratta solamente di condizioni ambientali che cambiano e non sono più in linea con quelle ideali. Secondo Dias e colleghi all’aumento delle temperature corrisponde un incremento di vulnerabilità rispetto a due altri fattori. Il primo è la ruggine del caffè (Hemileia vastatrix), un fungo che degrada le foglie della pianta, rendendole meno capaci di realizzare la fotosintesi. Gli effetti possono essere devastanti per i raccolti. Una terribile epidemia di ruggine ha colpito le piantagioni di caffè dell’America centrale nel 2012, riducendo del 16% la produzione. Un secondo fattore individuato da Dias è il fatto che all’aumentare della temperatura, le piante di caffè sono più esposte a due insetti. Uno è Leucoptera coffeella, una falena che depone le proprie uova all’interno dei frutti che stanno maturando. L’altro è un coleottero, Hypothenemus hampei, ovvero la piralide della bacca di caffè. Anche la piralide depone le uova all’interno di un tunnel scavato nella bacca del caffè.Non solo Brasile
Lo studio del team di Dias conferma un’altra ricerca, condotta però non solo sul Brasile. Roman Grüter dell’Institute of Natural Resource Sciences, dell’Università di scienze applicate di Zurigo (Svizzera) ha guidato uno studio che ha analizzato come l’aumento delle temperature globali impatterà su tre colture (caffè, anacardi e avocado). Si tratta di tre piante che vengono coltivate prevalentemente nella fascia compresa tra i due tropici e che vedranno significativamente modificarsi le rispettive aree di produzione da qui al 2050. Il confronto tra le due mappe realizzate dal team guidato da Grüter permette di vedere le modificazioni per quanto riguarda il caffè. Nella prima mappa è fotografata la situazione attuale, con le aree verdi indicate come le più adatte per la produzione di caffè (anche in questo caso si prende in considerazione C. arabica). Nella seconda, invece, i ricercatori hanno preso in considerazione lo scenario intermedio di intervento per la mitigazione del clima previsto dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), quello denominato RCP 4.5. Si notano quindi due fenomeni. Il primo è l’enorme superficie che diventa inadatta alla coltivazione di caffè (in arancio) e lo spostamento delle aree adatte verso nord in Asia e verso sud in America meridionale (in verde). Il che significa che Cina e Argentina potrebbero diventare due produttori importanti nel giro di qualche decennio, spostando la geopolitica del caffè verso latitudini prima escluse.Gli impatti che già si vedono
Nello studio svizzero i ricercatori hanno realizzato un focus particolare sul Vietnam, un paese che sta ricoprendo un ruolo sempre più importante per la produzione di caffè. Anche nel caso del paese asiatico, l’aumento delle temperature impatterà notevolmente sulla geografia della coltivazione. In questo caso, la mappa mostra gli effetti previsti anche per gli altri due scenari di mitigazione dell’IPCC: protezione del clima (RCP 2.6) e business-as-usual (RCP 8.5).
Da: “Expected global suitability of coffee, cashew and avocado due to climate change”, by R. Grüter et al., PLOS One, 2022